Il riciclaggio fa parte della finanza mondiale. Vero o Falso? Analizziamolo

Di balle sul riciclaggio se ne raccontano molte. Certo è un problema serio, ma la balla più grande che accomuna tutti è lo slogan “lotta al Riciclaggio”. Ovviamente si parla di denaro sporco, di provenienza illecita. Ma esiste veramente la lotta al riciclaggio?

No non esiste. Perché lo dico? Perché sono 25 anni che mi occupo di finanza. Prima in Svizzera. Poi in Svizzera e Brasile. Poi in giro per il mondo. Ed ho capito una cosa molto importante: la lotta al riciclaggio è una bufala.

Si inventano leggi per disciplinare e combattere l’autoriciclaggio; Si inventano leggi per disciplinare e combattere il riciclaggio spicciolo della spesa fatta dai clienti russi negli outlet; Si inventano leggi per disciplinare e combattere il riciclaggio del piccolo artigiano o commerciante che cerca di proteggersi da uno Stato ladro e strozzino come quello italiano portando i sui soldi all’estero;

Ma i grandi capitali NON si toccano mai. Mai si toccheranno le grandi banche, le grandi multinazionali, le grandi organizzazioni finanziarie che vivono e prosperano grazie a questi capitali. Già nel 2001 scrissi “I Soldi Sporchi” edito e pubblicato dall’ISBA – Istituto di Studi Bancari, ma ben poco è cambiato da allora. Anzi.

Tanto per rendersi conto di quanto sia vasto ed importante il problema cerchiamo di analizzarlo. Il riciclaggio globale? Si aggira sui 2.000 / 2.500 miliardi di dollari. Ripeto 2000/2500 miliardi di USD.
Tanto per dare un piccolo parametro di rapporto il PIL italiano 2018 è stato di 1,9 mila miliardi di USD. Quindi economicamente il volume finanziario del riciclaggio vale più del PIL italiano
Il money laundering vale dal 2 al 5% del Pil mondiale. La sovrafatturazione prospera. E ora l’attenzione si sposta su e-commerce e criptovalute.

Alla fine è sempre una questione di numeri e il riciclaggio globale non fa eccezione. Cifre e ancora cifre. Immense e difficili da determinare. Resta l’ordine di grandezza, quello sì ormai assodato, con i suoi 12 zeri espressi ovviamente in dollari. Anni addietro, lo United Nations Office on Drugs and Crime ipotizzò che l’ammontare di denaro passato ogni anno in lavanderia da criminali ed evasori del Pianeta oscillasse tra gli 800 e i 2mila miliardi di dollari. Come dire, dal 2 al 5% del Pil globale. La cifra non è mai stata aggiornata. Ma questo, forse, è l’ultimo dei problemi.

Negli anni la globalizzazione ha generato almeno due conseguenze: l’aumento dell’interdipendenza tra i grandi operatori finanziari, a partire dalle banche, e la crescita dei volumi di scambio. In questo contesto il riciclaggio ha trovato terreno fertile. Lo evidenziano le inchieste più recenti emerse grazie alla fuga di notizie e documenti riservati, dai Panama Papers fino alla più recente Troika Laundromat. I numeri ufficiali sono già di per sé impressionanti. Ma qui parliamo della punta dell’iceberg.

Il caso Troika Laundromat, nota Leonid Bershidsky, noto commentatore di Bloomberg, rientra a pieno titolo nel più vasto fenomeno del riciclaggio commerciale (trade-based money laundering). Essenzialmente parliamo di trade misinvoicing, sovrafatturazione: in pratica un commercio fantasma utilizzato per nascondere la fuga dei capitali. Secondo la Global Financial Integrity, una Ong di Washington, questo metodo copre da solo almeno il 18% dei volumi di scambio commerciale tra i Paesi emergenti o in via di sviluppo e le economie avanzate.

Analizzando i dati delle Nazioni Unite, che danno origine alla stima più cauta, emerge così una geografia particolarmente variegata. Tra i Paesi caratterizzati dai più elevati deflussi illeciti di denaro in valore assoluto spiccano il Messico (31,5 miliardi di dollari), la Malaysia (22,9 miliardi), la Thailandia (16 miliardi) e il Brasile (12 miliardi). Ma nella lista compaiono anche alcune nazioni europee come Ungheria (7,6 miliardi) e Romania (5,1). Tra le principali destinazioni del riciclaggio commerciale si segnalano invece Polonia (32,3 miliardi) e Indonesia (10,1 miliardi).

Il problema sostanziale è che il riciclaggio e le sue dinamiche sembrano capaci di evolversi di pari passo con la tecnologia e l’innovazione stessa degli scambi globali. Non stupisce, di conseguenza, che negli ultimi anni una certa attenzione si sia concentrata sul cosiddetto transaction laundering, il riciclaggio condotto nel circuito delle carte di credito.
Secondo Ron Teicher, fondatore della società di sicurezza informatica EverCompliant, questo genere di riciclaggio tipico delle operazioni online muoverebbe capitali per non meno di 200 miliardi di dollari soltanto negli USA. Il 3% della cifra alimenterebbe inoltre mercati di beni e servizi illegali gestiti da 335mila operatori non registrati. La crescita del commercio online renderebbe il fenomeno ancora più preoccupante.

Nel 2017 l’e-commerce globale ha raggiunto un fatturato di 2,3 trilioni di dollari con una crescita del 24,8% rispetto al 2016. Nel 2021, sostiene la società di analisi eMarketer, potrebbe sfiorare i 4.900 miliardi di biglietti verdi.

L’ultimo allarme, per ora, arriva dal mondo delle criptovalute. Monete digitali, bitcoin ecc, per capirci. Ma anche valute “immaginarie”, materiale da videogame che prospera però in un mercato reale. La recente vicenda Fortnite è un monito per i regolatori: nei comparti non regolamentati, il riciclaggio trova uno spazio insospettabile.

Secondo la finanza tradizionale (Banche, ecc…) le criptovalute sono tuttora circondate da un alone di mistero. Questo non è assolutamente vero a mio avviso. Sono semplicemente carenti di normativa di controllo e vigilanza e non sono conosciute/note alla maggior parte degli interlocutori del mondo finanziario ed economico. In paesi di ignoranza palpabile come l’Italia ad esempio si è soliti pensare che ciò che non si conosce o non si comprende sia sporco. Illecito. Nulla di più sbagliato. Il vero ed unico “male” e “pregio” delle valute virtuali, ad oggi, è quello di creare e tentare di creare una finanza parallela slegata dal controllo delle banche e dei controllori finanziari e bancari. Fuori dal monopolio oligarchico della finanza mondiale tanto criticata da tutti, ma rifugio abituale di quei tutti che la contestano.

Va tuttavia detto che al di là dell’importanza e della necessità di slegare la finanza dal controllo criminale del sistema finanziario mondiale, esistono segnali che sono comunque preoccupanti. Nell’aprile 2017, ad esempio, le autorità giapponesi hanno imposto agli operatori delle piattaforme di scambio di denunciare le transazioni sospette condotte con le monete virtuali. Alla fine dell’anno la conta delle segnalazioni si è fermata a 669 casi. Nel 2018, ha fatto sapere la polizia nipponica, le denunce sono state più di settemila. Oltre dieci volte tanto. Una goccia o poco più, con ogni probabilità, nel mare magnum del mercato globale.

Ovviamente anche questo sistema finanziario emergente dovrà trovare una propria vigilanza ed un proprio codice deontologico in quanto sicuramente permeabile a sistemi di riciclaggio, c’è solo da augurarsi che questo sistema di vigilanza o controllo non sia demandato al sistema di controllo bancario tradizionale. Un caro saluto,

Marcello Gianferotti

SOURCE: SAMIZDAT EDICIONES – LA VOZ
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